I nostri inseguitori sembrano scomparsi.
-Credi se ne siano andati?-
Mi domanda Doc guardando impaurito fuori dalla porta.
-Non penso, probabilmente sanno bene cosa si rifugia
dietro a questa porta, gli basterà aspettare che usciamo-
Indico con un cenno l’uscio su cui sono appoggiato, che
porta dentro al cuore dell’edificio.
-Cosa facciamo?-
Mi alzo e osservo la stanza in cui ci siamo riparati:
doveva essere una reception, perché sono presenti molte sedie e un lungo
tavolo, su cui troneggia un computer annerito.
-Aiutami a spostare questo tavolo per bloccare
l’ingresso, aspetteremo che cali il buio e cercheremo di passare-
Bloccata la porta contro i predoni, Doc spalma una generosa quantità di repellente
intorno a quella interna, così le creature non si accorgeranno di noi una volta
sveglie.
-Qualche ora prima del tramonto, cerchiamo di dormire-
I primi sintomi della tortura non si fecero attendere a
lungo, complice la stanchezza. Il primo fu Sandoval, l’unico che non aveva
seguito un addestramento militare. Il suo parlottare sommesso, dettato dalle
allucinazioni, rappresentava un tappeto sonoro indistinto, quasi una litania.
-Rudolf, parlami, dimmi come stai-
Cercò di intervenire Mac, ma una scarica a basso
potenziale venne convogliata nel pavimento della cella, punendolo.
-Ogni tentativo di comunicare tra voi verrà punito-
Apostrofò una voce metallica, proveniente da un punto
indistinto del soffitto.
-Sveglia Doc, possiamo andare-
Si alza barcollante, intontito dal sonno. Insieme
spostiamo, in silenzio, la scrivania e apriamo lentamente la porta.
La luna è coperta dalle nuvole e ne filtra solo
pochissima luce, quel tanto che basta per vedere i contorni degli oggetti
vicini.
Prima di uscire ci impregniamo nuovamente i vestiti con
la sostanza.
Per evitare di perderci decido che cammineremo mano nella
mano, procedendo paralleli alla strada, ma discosti quel tanto che basta per
trovare riparo tra gli alberi.
Il movimento è lento e attento, fino a quando un ramo,
troppo basso e troppo scuro per essere visto, mi fa inciampare. Nella caduta
tiro giù anche Doc, il quale emette un urlo gutturale per la sorpresa.
Dalla parte opposta della strada parte una corta raffica,
che si perde nella notte.
Il Divoratore che ha sparato, probabilmente a causa del
nervosismo, ora si starà sicuramente maledicendo, avendo rivelato la sua
posizione.
Faccio per rialzarmi, ma la mano di Doc mi blocca, così
porto l’orecchio a pochi centimetri dal suo viso.
-Aspetta e vedrai-
Pochi istanti dopo un ululato agghiacciante echeggia
dall’edificio-tana e un forte rumore di passi, simile al galoppare di cavalli,
si dirige verso il nascondiglio del cecchino. Le lunghe raffiche di colpi
servono solo a rimandare di attimi la sua morte, sottolineata da un urlo e dal
caratteristico rumore dei denti che masticano carne.
Berved aveva passato l’esame di “detenzione ed evasione”
a pieni voti, ai tempi del battaglione, ma ora non capiva come mai la sua testa
stesse per esplodere. Ogni piccolo sussurro di Sandoval gli trapanava il
cervello e, se lui stesso provava ad articolare qualche parola, non le sentiva.
Da quanto tempo li avevano catturati? Era come se la sua cella lo avesse annientato.
La voce metallica gli strappò un grido acuto.
-Allontanarsi dalle porte, allontanarsi dalle porte-
Quando tutti eseguirono l’ordine, entrarono nel blocco
celle tre lupi grigi, armati con una potente torcia dalla luce azzurrognola. Si
fermarono di fronte a Mac e gliela puntarono in faccia, per accecarlo, mentre
disattivavano il campo elettrico della porta.
Subito dopo l’attacco delle creature abbiamo corso e
corso fino a quando i polmoni hanno retto e le gambe non sono andate in fiamme.
Probabilmente grazie alla vita che aveva vissuto, Doc aveva una forma fisica
invidiabile.
-Dovremmo essere arrivati ormai-
Dico con voce rotta dai lunghi respiri.
-Credo manchi ancora un chilometro, ma sono esausto-
-Sforziamoci di camminare fino a là, almeno poi potremo
andarcene!-
Tiro su Doc e, sorreggendoci ai tronchi degli alberi
infestanti, ci dirigiamo verso la nostra unica speranza.
Lo stanzino degli interrogatori era luminoso come un
laboratorio scientifico, con due tecnici in camice bianco che armeggiavano
intorno ad apparecchiature e un lettino chirurgico. Fecero distendere Mac e
assicurarono gli arti con resistenti cinghie di cuoio.
Neanche vide arrivare lo schiaffo e la gomitata nello
stomaco: i suoi occhi faticavano ad abituarsi a tutta quella luce.
-Tu devi essere Mac, giusto?-
Una macchia indistinta gli parlava. Un altro schiaffo,
questa volta con un guanto rinforzato, che gli fece sanguinare il labbro.
-Sia chiaro fin da subito: io faccio le domande e tu
rispondi. Chiaro?-
Un altro colpo, stavolta diretto al fianco, appena sotto
le fluttuanti. Il dolore stava collaborando per fargli tornare la vista.
-Ricominciamo, tu sei Mac?
Appena prima del colpo poté vedere chi lo percuoteva.
-Generale! Sì, sono Mac-
Strenw si fermò con il braccio già caricato sopra la
testa, ma non lo ritrasse, lasciandolo come monito.
-Fai parte di qualche reparto?-
-Negativo, siamo mercenari-
C’era da immaginarselo, pensò il Generale, con le corporazioni
commerciali imperanti era impossibile che un’azione militare di così ridotta
importanza venisse autorizzata. Ormai tutto veniva svolto dai mercenari.
-Se sei un mercenario avrai un padrone, chi è?-
-Non conosco il suo nome-
La mano calò, ma non lo colpì. Il generale si girò e fece
un cenno ad un tecnico.
Una scarica elettrica venne convogliata attraverso le
cinghie.
Mentre il Generale usciva, Mac era in preda alle
convulsioni.